Dal 2008 il blog su minimalismo familiare, scelte educative non convenzionali, genitorialità consapevole, abitudini digitali e strategie per vivere meglio con se stessi e con gli altri.
Da quando insegno ho cercato di portare la cultura della sostenibilità, il rispetto dell’ambiente, l’attenzione allo spreco e all’uso di plastica monouso tra i banchi di scuola.
Con enorme fatica e anche qualche malumore.
Poi quest’estate sono stata in Repubblica Ceca con un progetto europeo Erasmus+ per insegnati, giovani e attivisti del clima. Il tema era la sostenibilità. Ho incontrato molti colleghi e giovani adulti appassionati al tema, motivati e con un livello di attenzione e di competenza elevatissimo. E allora mi sono messa al lavoro!
Sapete anche che il tema mi è caro, da sempre.
Diciamocelo, la sostenibilità non è sexy, anzi è una vera scocciatura per molte persone, anche quelle che dovrebbero essere degni modelli da imitare per bambini e ragazzi, ma questa è la società in cui viviamo.
Ecco perchè chi è interessato a sensibilizzare gli altri su queste tematiche deve darsi un gran da fare.
Uno dei progetti per la scuola l’ho realizzato con i colleghi di altre 4 scuole europee e lo voglio condividere con gli insegnanti che mi leggono qui.
E’ una lezione collaborativa sulla sostenibilità, pensata per una classe di terza media di una scuola privata bilingue, come quella in cui lavoro io.
Qui potete scaricare la lezione simulata (17 pagine, circa 90 mega quindi ci mette una ventina di secondi a scaricarsi) e usarlo per un workshop in classe dopo una breve lezione frontale di non oltre 20 minuti in cui introducete l’argomento, parlando del come e perchè pensare sostenibile è importante: invece di fare mille parole (la povera Agenda 2030 di cui si parla tanto nei libri di geografia sembra carta morta)
Bisogna passare ai fatti, alle azioni concrete, andando a prendere i vostri ragazzi là dove sono, ovvero personalizzando le lezioni affinchè siano vicine ai loro interessi e a quelli delle loro famiglie che sono, a questa età, ancora il loro principale punto di riferimento.
Usatelo è gratis!
E se volete personalizzarlo scrivetemi a viveresempliceilblog@gmail.com così mi mando l’invito su Canva per metterci su le mani
Ho letto La lezione di Gustavo Zagrebelsky e devo condividere con voi almeno qualche passaggio. Favoloso!
L’etimologia della parola magia è illuminante: deriva dalla radice sancrita mag, che significata ingrandire, espandere, è la potenza che con le parole chiama in vita le cose.
Ecco un lista di cose di cui abbiamo bisogno per rendere la scuola più umana e meno performativa:
chiamare i nostri alunni per nome (la potenza dell’appello, come dice D’Avenia)
dare i nomi alle cose materiali e immateriali e insegnare ai nostri alunni a chiedere “cosa vuol dire?”
aiutare i ragazzi ad esprimersi e intendere l’espressione altrui
insegnare loro, con l’esempio, ad agire e non reagire
smettere di lamentarci davanti a loro e di fare sermoni lunghi tutta l’ora di lezione
smettere di usare paroloni facendo sfoggio d’erudizione ben consapevoli di averli persi (stupenda la spiegazione sulla parola secolarizzazione a pag. 25)
Si potrebbe dire che la scuola abbia bisogno di una parola pregna di senso piuttosto che di sproloqui. Parole declinabili secondo un uso proprio, traslato, improprio, simbolico, metaforico, allegorico…
Senza le parole anche le cose ci sfuggono
Il numero di parole che possediamo corrisponde – dice benissimo Zagrebelsky – al numero di cose cui possiamo conferire esistenza, che possiamo comprendere e fare nostre.
Chi non possiede alcuna parola è totalmente inerte e inerme. Esiste ma non vive.
E quante volte – dico io – ci capita che i nostri alunni non abbiamo in bocca le parole per dire non solo la lezione ma il loro stesso bisogno di esprimersi, la loro paura di non farcela, la loro rabbia perchè manca loro tutto: aggettivi, categorie finanche pensieri.
Senza le parole la conoscenza da strumento di libertà si trasforma in zavorra. E non parlo di chi è dislessico e la lettura è una strada in salita o disattento e fatica a concentrarsi e ascoltare il suono delle parole che creano senso. Parlo di tutti gli altri, disorientati, che vivono la scuola come un’oppressiva macchina perditempo, dove si parla di cose che non capiscono, che non ricordano e che non sanno collegare alle cose di cui si è parlato ieri. E a questi ragazzi noi diciamo: devi studiare di più!
Volare più basso
Zagrebelsky trova le parole che io non ho. Eccole: propongo una visione terra terra, agganciata all’esperienza, senza voli pindarici, sobria, attrattiva e rispettosa dell’autonomia tanto degli studenti quanto dei professori.
Voglio aggiungere: il professore umile, quello che non perde tempo ma sa fermarsi a perdere tempo, quello che fa apparire la lezione, fa luce sul sapere, fa venire alla luce curiosità. Quello che semplicemente sa ridere con loro, non di loro.
ps: ho sentito un prof dire dei suoi alunni che potrebbero partecipare alle paraolimpiadi di grammatica… e poi si è anche messo a ridere.
Questo lungo articolo, pensato per una rivista specializzata durante il lockdown e mai uscito, viene pubblicato a puntate, i link in calce.
PRIMA PUNTATA
Uso internet da 30 anni ovvero più o meno da quando internet è comparsa in Italia. Allora avevo 18 anni e dopo la laurea in Lettere mi misi a studiare l’html e il marketing fino a diventare consulente di comunicazione. Non sono certo una luddista quindi e neppure una scettica nei confronti del web. Anzi!
Ma da quando sono genitore rifletto sul ruolo invasivo che i media hanno conquistando nella vita di tutti noi e da oltre 15 anni curo un blog che tratta di minimalismo digitale, quello su cui siete ora.
Adesso che i miei 3 figli maschi sono tutti adolescenti mi sento di portare una riflessione in merito.
Penso agli insegnanti che si si chiedono se è giusto il BYOD “Bring Your Own Device” ovvero la tendenza ad usare gli smartphone a scuola e ai genitori che hanno acquisito, insieme ai loro figli, l’abitudine di portarsi il cellulare anche a letto e in bagno.
L’era COVID ha portato un ulteriore livello di complessità: lo smartphone non è più solo un’utilissima invenzione ma una vera e propria necessità, nel momento in cui ci raccomandano di stare fisicamente il più lontani possibile.
Anche chi è rimasto scettico di fronte a tanta invadenza della tecnologia nelle vite di tutti, giovani e anziani, non può più esimersi dall’utilizzarla, pena rimanere socialmente isolati.
Quando i figli perdono di importanza….
Alla fase 1 che chiamerò genitori terrorizzati contro figli entusiasti, è seguita una breve fase in cui i genitori hanno preso confidenza cosi tanta confidenza con i social e whatsapp da perdere di vista il loro ruolo di “esempi degni di essere imitati”.
Ora si muovono per casa con lo sguardo sullo smartphone, perdendo completamente di vista i figli, i loro bisogni e le loro lamentele sempre meno urgenti degli stimoli che i loro profili social offrono loro H24.
Non sto esagerando, questa è la fase che ha coinciso con un arco di tempo di circa sei anni, dall’arrivo del primo smarphone Android nel 2009 al trionfo di Netflix in Italia nel 2015. Un periodo non facile per tutto il mondo con la crisi del 2008 e con il forte bisogno di consolazione, distrazione e intrattenimento che portano le batoste. I figli sono finiti in priorità 2, dopo il lavoro e la carriera tramontata per oltre un milione di persone.
Insegno storia ai ragazzi delle medie e per la prima volta affronterò insieme a loro l’esame di terza media. La prima scelta che dobbiamo fare insieme è: tesina si o tesina no. Voi che ne pensate?
Sulla questione esame sottoscrivo quello che dice il prof. Enrico Galliano. Ascoltatelo!
Il tema è: Come si insegna a giocare la palla ad un ragazzo, una volta che gliel’hai passata?
Cosa vuol dire studiare la storia?
Le parole che voglio sappiano maneggiare sono globalizzazione, capitalismo, organizzazione del lavoro, lotta per i diritti umani piuttosto che ancien regime e belle epoque. Ecco le competenze che i ragazzi che escono dalle medie devono avere:
poche ma solide competenze sulla storia sociale ed economica del mondo
conoscenza sulla rete che tiene insieme i vari campi del sapere (collegare le materie no?)
sapere che la storia è fatta di conflitti tra innovazione tecnica, responsabilità nei confronti del pianeta e che la civiltà in evoluzione ha una forte influenza sull’uomo e sul suo benessere
fare ragionamenti sul rapporto degli uomini con il tempo e con lo spazio grazie alle scoperte e allo sviluppo.
C’è sempre più la necessità pedagogica di una sintesi dei contenuti a favore di singoli esempi (come cambiano i trasporti, quali sono le materie prime che hanno dato vita alla corsa all’imperialismo, ecc)
I ragazzi si perdono nei dettagli e non colgono la forma della storia.
Cambiare il modo di stare in classe
In terza media i ragazzi devono essere in grado di lavorare in gruppo (ma se non abbiamo iniziato negli anni precedenti non sarà facile).
Devono saper analizzare le fonti (cioè scovarle come in una caccia al tesoro e usarle per qualche scopo).
Scorrere wikipedia e copiare a caso per far contenta la prof è triste e inutile.
Si tratta di sviluppare la responsabilità del singolo, valutare in che ruolo ognuno dei membri del gruppo può dare il suo contributo. E questo senza l’aiuto di un adulto!
Aiutarli a trovare l’ispirazione…
Scoprire le biografie di inventori ed innovatori, conoscere le storie imprenditoriali di chi si è affermato con l’iniziativa e l’acume.
Mostrare che nascono nuove idee là dove l’agire è guidato da aspirazioni e ostacoli da superare.
Ecco perchè l’esame di terza media (e anche la maturità) non possono essere momenti in cui viene ripetuta una lezioncina a memoria o quasi ma un confronto con le idee vere del ragazzo, se siamo stati capaci di insegnar loro a pensare.
Meglio un confronto vero (magari a livello elementare) che una finta bella figura. E se i ragazzi vengono preparati fin da subito ad affrontare un esame vero saranno i primi ad attivarsi per non farla quella benedetta brutta figura. Perchè a nessuno piace farle.
Compito pedagogico e contenuti nel piano studi della scuola Waldorf 2. Piano di studi verticale dalla I alla XII classe Materie Umanistiche di Tobias Richter e AA VV W Scuola edizioni
Questo libro è una fonte di ispirazione eccezionale per tutti coloro che sono alla ricerca di fonti di ispirazione per le scelte didattiche.
Tali decisioni, mai come ora, hanno bisogno di essere coraggiose e pregne di senso per suscitare interesse e curiosità negli alunni.
Il coraggio degli insegnanti
E tu che porterai i tuoi ragazzi all’esame di terza media, te la senti di lanciargli una palla e lasciarli giocare con ciò che hanno imparato, per mettere insieme un ragionamento senza averlo preparato? Qui siamo noi docenti a giocare: ci fidiamo di come abbiamo insegnato? Ci fidiamo di loro? Siamo riusciti a suscitare interesse? E siamo disposti a perdere davanti ai colleghi?
La grammatica italiana è difficile? Vero. Ma ripetere le stesse cose mille volte non serve a niente. Anzi, gli alunni si annoiano e si demotivano. Bisogna pensare a nuove strategie in classe, perchè i ragazzi possano trovare il loro modo di imparare.
Saper scrivere correttamente e senza errori grammaticali è un bel traguardo e qui raccolgo una serie di risorse che ho trovato online e che uso con i miei studenti che seguo nel tutoraggio per bambini con disturbi dell’apprendimento.
Alcuni di loro con forte dislessia hanno bisogno di risorse visive, del gaming learning ovvero di approcci non tradizionali all’apprendimento, come il gioco e la sfida, altrimenti la frustrazione procurata dalle loro difficoltà rischia di mandare a monte tutto il gusto di imparare.
Comunque lo stesso discorso vale per tutti, infatti la didattica inclusiva fa bene a tutti e aiuta anche chi non ha difficoltà specifiche ad imparare con più gioia e motivazione.
A proposito conoscete Kahoot? E’ una risorsa innovativa per ripassare divertendosi e sfidando i compagni.
Flessibilità si, pregiudizi no
Ci piacerebbe di più insegnare la grammatica e la calligrafia vecchio stile, con pennino e inchiostro. Però i bambini non imparano tutti nello stesso modo. Alcuni di loro con la penna stilografica si sporcano le mani e si demotivano. In quel caso è inutile insistere.
E la stessa cosa vale per la lettura. Se i ragazzi hanno difficoltà a leggere o hanno disturbi come dislessia di grado medio o severo perchè non consigliar loro un audiolibro da scaricare gratuitamente? Qui una lista meravigliosa dei libri più importanti della letteratura per non privarsi del gusto della lettura anche se non si è lettori forti.
Esiste anche la figura del tutor dell’apprendimento, specializzato nell’aiuto e nel sostegno a casa dei ragazzi con bisogni educativi speciali. Ti interessa diventare tutor dell’apprendimento? Scopri come
Testisemplificati.com Materiale didattico gratuito per docenti.Testi semplificati di storia e geografia per alunni stranieri o con difficoltà linguistiche o apprendimento.
Mappe di morfologia e grammatica (ma anche storia, geografia e scienze di secondaria I grado)
Quando misi piede per la prima volta nel giardino di una scuola steineriana la prima cosa che udii fu un ragazzino che litigava con un altro usando espressioni affatto volgari, niente di sporco e ingiurioso. Pensai: cavolo, anche per dirsene quattro hanno imparato ad usare un modo elegante!
Mantenere le promesse
Negli anni ho coltivato il pensiero che la scuola steineriana fosse un’opportunità d’oro e che fosse un ambiente democratico e accessibile a tutti (c’erano sconti sulle rette per chi ne faceva richiesta) dove veniva usato un metodo non convenzionale. Oggi invece penso che alcune delle promesse fatte non sia state mantenute, in primis tra tutte l’accessibilità.
Sono passati molti anni, la passione per la pedagogia non è scemata e osservando il mondo dal lato della scuola pubblica che frequentano ormai tutti i miei figli, il mio punto di vista è cambiato e si è forse estremizzato leggendo Lettera a una professoressa, sull’esperienza della scuola di Barbiana.
La scuola non può essere elitaria
Chi manda i figli alla scuola steineriana deve poterselo davvero permetterselo. Ci hanno detto che i bambini si stancavano e che bisognava portarli a casa alle 14.30 e possibilmente farli stare a casa o in natura. Niente sport e niente tv fino alle medie.
Mi riferisco ovviamente alla mia esperienza personale di genitore e non posso generalizzare.
E’ chiaro che siamo ad un punto estremo di distrazione in cui i bambini già dalla materna fanno 100 sport e nel resto del tempo stanno incollati agli schermi. Ma ora mi è ancora più chiaro che il sano equilibrio tra il fare (dare stimoli) e il lasciarli fare (togliere stimoli) è ancora più sano e sensato di un regime nel quale gli insegnanti vogliono governare tutto il ritmo della famiglia, spingendosi a dare consigli precisi su ciò che i bambini dovrebbero e non devono fare.
La scuola deve essere a tempo pieno
A chi giova la scuola a tempo ridotto? Ai ricchi e a chi ha stimoli culturali e opportunità. Per gli altri il tempo libero sono troppe ore di solitudine e silenzio che rendono i ragazzi sempre più timidi e preda dei persuasori occulti (pubblicità, social, spazzatura mediatica).
La scuola bisogna parlare
Sapersi esprimere ad alta voce, capire cosa dice l’altro, non importano le sue idee basta che sappia parlare. Questa è uguaglianza. Che ricco e povero possano avere la stessa capacità di articolare il linguaggio, ognuno poi parlerà di quel che sa e più gli argomenti saranno diversi e meglio sarà. Le materie sono solo un’occasione di confronto.
Dove si lascia che questo avvenga? Nella scuola pubblica il tempo è poco quindi bisogna spiegare, inoltre è richiesto loro di parlare solo durante le interrogazioni (quindi sotto giudizio).
Nella scuola steineriana chi impara a parlare lo fa per talento naturale non certo per esercizio visto che si sta in silenzio la maggior parte del tempo.
Per imparare ad ascoltare gli altri bisogna avere il proprio turno di parola, senza secondi fini (la valutazione).
La scuola non deve sorvegliare
I ragazzi non sono ladri, non hanno bisogno di essere controllati. Gli insegnanti devono aiutare non assicurarsi che non copino. Si parla tanto di responsabilizzare e poi si fa la commedia, li si tratta come cretini e svogliati. Lasciamoli fare e spiegare perchè fanno in quel modo e non in un altro. Cambieranno razza da soli con il tempo e se non lo faranno siamo certi il nostro controllo sarebbe stato comunque inutile. A scuola serve fiducia, i ragazzi devono sentire che ci fidiamo di loro per questo dobbiamo organizzarci affinchè attorno a loro questo clima si respiri e non sia solo detto con le parole.
L’autonomia che si respira nella scuola pubblica a volta ha il sapore del disinteresse. Al contratto nella scuola steineriana non esiste autonomia, i bambini non sono neanche liberi di organizzare i giochi da fare nell’intervallo perchè la maestra sceglie un gioco e lo fa con loro. E non si gioca a calcio! Il perchè non è mai stato detto (forse perchè troppo popolare?).
Ora, dov’è il confine tra il disinteresse e il supercontrollo? Quel limite è esattamente la via di mezzo più precaria del mondo. E’ un confine che cambia ogni giorno, da ridefinire con la contrattazione e con l’ingegno a seconda dell’aria che tira.
Ecco perchè non esiste un metodo che funzioni, una scuola che funzioni, un insegnante che funzioni sempre. Esistono le esperienze di ognuno di noi. E i luoghi per condividere nell’ottica di arricchire le proprie capacità di scelta.
Gli insegnanti che funzionano
Gli insegnanti amati dai ragazzi sono mediatori dell’apprendimento, facilitatori e gli organizzatori dei saperi, non sono quelli che si mettono in cattedra a spiegare. Sono i ragazzi che hanno bisogno di fare non gli adulti. Gli adulti devono mettersi al servizio di una didattica inclusiva che necessariamente esclude un po’ il loro protagonismo. E’ osceno da dire, ma molti insegnanti si sentono depositari del sapere e hanno bisogno di sentirsi al centro della scena e questo li rende inascoltabili anche se sono preparatissimi e coltissimi.
Approfondisci
Che siate o meno convinti che la scuola steineriana sia la soluzione migliore per i vostri figli vi auguro di potervi aprire al dialogo.
Il professor Alessandro D’Avenia la vede in modo diverso e nel suo libro L’arte di essere fragili, come Leopardi può salvarti la vita al posto dei pericoli e dell’avventura mette le parole.
Il compito della letteratura italiana
Gli adolescenti secondo D’Avenia hanno bisogno di immergersi nelle opere letterarie con tutti i sensi e di trovare nelle parole dei grandi poeti un fuoco sacro, elisir di salvezza.
Le passioni si risvegliano a contatto con il fuoco, non con le istruzioni per accenderlo, afferma, intendendo con questo le critiche letterarie o le antologie che fanno a pezzi le parole dei poeti per riproporle in brandelli.
Sono molto grata a D’Avenia perchè da quando ho ripreso in mano la Letteratura Italiana ho cominciato a riscaldarmi anche io a questo fuoco, e a stare meglio, sentirmi al sicuro, a casa mia con me stessa.
E’ difficile stare a contatto con il fuoco nella nostra epoca, perchè per sentire il calore bisogna mettere un’attenzione particolare nella quotidianità. Bisogna rischiare davvero di bruciarsi per imparare ad apprezzare la vita e abitarla davvero:
Sebbene è spento nel mondo il grande il bello e il vero, non ne è spenta in noi l’inclinazione. Se è tolto l’ottenere, non è tolto nè possibile togliere il desiderare. Non è spento nei giovani l’ardore che li porta a procacciarsi una vita, e a sdegnare la nullità e la monotonia.
(Zibaldone, 1 agosto 1820)
Abbassare le difese, rendere l’uomo più vero e autentico, questo è il compito della Letteratura.
Saper essere come si è, riconoscersi come fragili e imperfetti invece che andare alla ricerca dell’invincibilità. E lo si può fare ascoltando chi, come Leopardi ha saputo trasformare i suoi limiti in bellezza accettando e trasformando le sue sfortune in trampolini di vita. O chi ha avuto il coraggio di chiedere alla luna come fa a non annoiarsi.
Stare accanto agli adolescenti come genitori ed insegnanti è difficile. Anche se si vuol essere testimoni di bellezza portando le proprie passioni davanti ai loro occhi lo sguardo con cui ci guardiamo è sempre più povero e incapace di sperimentare pienezza e compimento.
Usa l’immaginazione per portare a termine
Guarda con attenzione, immergiti nell’adesso, penetra il reale, usa appieno i sensi verso la ricerca di compimento delle cose (ecco il senso del grande lavorio fatto sui sensi dei primi anni di vita).
Il tema del compimento è fondamentale: creare è il segreto del compimento, ma creare è un processo non un improvviso accadere – ricorda D’Avenia – ecco perchè è difficile. Ci vuole pazienza, concentrazione, lavoro quotidiano, fioritura personale, occasioni di compimento, di cui tanto ho parlato in questi anni a proposito del diventare genitori sia nel blog che nel libro.
Domenica 6 settembre alle 14.45 segui in streaming Doppio Sogno di Anna Oliverio Ferraris su come trovare il modo per aiutare i ragazzi a mantenersi in rotta sia pure senza rinunciare all’avventura. La conferenza si tiene al Festival della Mente di Sarzana (di cui ho gia parlato quando sono andata a sentire Franco Lorenzoni)
Non avere paura dell’incertezza
Crescere non è avere successo ma è discendere, andare in profondità, dove il rapimento può mettere radici. Creare senza lasciarsi paralizzare dalla paura di fallire – non riesco a smettere di citare l’autore – e aggiungo che in quest’epoca pandemica dove sembra che molto sia andato perduto e che il futuro sia incerto più che mai occorre familiarizzare con l’incertezza e la precarietà (relazionale, interpersonale, etica, identitaria) che sono processi che avvengono naturalmente in una società complessa.
A volte noi adulti confondiamo la noia con la sete di vivere. Quell’arsura che ti fa pensare che non valga la pena di cercare ancora, perchè di acqua in giro non ce n’è più. A volte gli adolescenti proprio non li capiamo perchè non sappiamo di cosa hanno bisogno. Ma non ci esimiamo dal giudicarli.
Alcuni dei miei figli sono andati alla scuola steineriana, altri no. Alcuni dei miei figli sono lettori forti e scrivono canzoni, altri craccano videogame per giocarci gratis.
Nell’ordine abbiamo:
un 9enne che fa giochi di logica in continuazione
un 17enne in quarto Liceo Scientifico che in questi giorni di settembre benedice di essere stato promosso a giugno, mentre i compagni si arrovellano sugli esami di riparazione.
un 15enne che inizia il Liceo Scientifico quest’anno.
Tutti orientati scientificamente insomma: per una mamma scrittrice e aspirante prof d’italiano come me rimane il timore che non si appassioneranno e non usaranno mai la lingua madre in modo appropriato e competente.
A cosa mi serve la grammatica?
Ognuno di loro ha avuto ed ha insegnanti d’italiano più o meno capaci sta di fatto che le regole non piacciono a nessuno. Le regole di grammatica poi fanno venire la varicella anche a chi è vaccinato!
Per i ragazzi che sono andati alla scuola steineriana le regole di grammatica sono un mondo sconosciuto, per gli altri un argomento da evitare.
Ed io mi arrovello: come si può far amare ai ragazzi la propria lingua madre?
La lingua serve per esprimere i pensieri
L’obiettivo della grammatica, secondo me, non è sapere la coordinazione per asindeto o polisindeto ma avere strumenti per pensare in modo coordinato e complesso e quindi poter formulare frasi che rappresentino tale complessità. Il pensiero ha bisogno della parola, anzi della frase, per esprimersi in modo appropriato.
Se avrò una prima media…
Con i miei figli devo assicurarmi di fare solo la madre, ma quando avrò una prima media userò a piene mani un volume che ho scovato in libreria.
E’ il Tablet delle regole d’italiano, Erickson Editore, un volume rilegato a spirale, di facile consultazione, che raccoglie le principali regole di grammatica, parti del discorso e tipologie di analisi (grammaticale, logica e del periodo) ovvero tutto il programma d’italiano delle medie in formato compatto, strumentale e snello. Direi incoraggiante!
Mi sbarazzerò di volumi utili quanto sacchi di patate come il “In forma semplice e chiara” di Marcello Sensini, Mondadori ed, più di 700 pagine per un libro di grammatica per le medie che richiede una carriola per trasportarlo e una laurea in ergonomia per capire come è strutturato e come funziona. E che contiene una parte di contenuti digitali interattivi utili quanto una martellata in testa.
Certo un libro vero e proprio di grammatica ci vuole a scuola e il Tablet delle Regole d’Italiano potrebbe essere un sunto troppo sintetico. Ma credete davvero che un libro di 700 pagine invoglino dei ragazzi di 12 anni a cimentarsi con la propria lingua madre?
Ci credo che poi preferiscono andare su weschool, senza nulla togliere a questo ottimo progetto di condivisione dei saperi.
Cosa ci fai con un tablet di carta
Si, prenderei il Tablet delle regole d’italiano e mi sbizzarrirei ad inventare un sacco di giochi per mostrare ai ragazzi che saper parlare e scrivere bene è un’ambizione possibile per tutti.
Non perchè sono una giovane insegnante con il pallino per la tecnologia, ma solo perchè conosco i ragazzi e so che occorre prenderli la dove sono, nel loro ambiente naturale fatto di sfide, innovazione e voglia di imparare contenuti utilizzabili davvero. Non solo teoria.
Sui tempi e i modi dei verbi si possono fare staffette, giochi di salto con la corda e mille altre attività in gruppo, con finalità ludico-grammatico-motoria.
Sugli articoli determinativi, indeterminativi e partitivi si possono fare delle cacce al tesoro, per trovare quelli giusti (l’italiano è pieno di eccezioni), oppure sui nomi astratti e concreti delle gare di velocità a squadra, (una squadra dice “braccio” per indicare una parte del corpo percepibile con i sensi e l’altra squadra deve indicare qualcosa di non fisico sempre relativo al corpo >> “forza”)
Accendete i vostri smartphone!
Se venissero a chiedermi perchè questo libro si chiama tablet li stupirei dicendo loro: accendete i vostri smartphone. Inizia la gara di grammatica.
Kahoot.it e Menti.it sono app pensate per interagire online direttamente attraverso gli smartphone dei vostri alunni. Con il libro di carta ripassi, con la app ti metti alla prova
Registratevi su Kahoot.com e provate questa sfida d’italiano, o questa gara di grammatica da fare in classe usando la LIM oppure da dare come compito per gara.
Non ho cambiato idea
Per chi mi legge da anni, sappiate che non ho cambiato idea. Penso ancora che la tecnologia sia da tenere fuori dalla portata dei bambini piccoli (soprattutto quella che si spaccia per educativa)e da maneggiare con cura.
Non possiamo far finta di niente
Però non possiamo far finta di niente di fronte agli adolescenti che chiedono di imparare a modo loro.
Mostrare loro che conosciamo e sappiamo usare i mezzi che usano loro significa conquistarsi la loro fiducia, dargli modo di guardarci in faccia senza pregiudizi e aprirsi al nostro modo di insegnare.
Di cosa abbiamo bisogno se non della loro attenzione?
I rapporti tra adulti e bambini si fanno sempre più difficili: dalla materna al liceo sembra che educatori ed insegnanti non trovino più la chiave d’oro per entusiasmare e condurre un anno scolastico pieno di gioia e voglia di fare.
D’altro canto i grandi accusano i piccoli di essere maleducati, disinteressati, apatici quando non aggressivi. Cosa è successo?
Perchè adulti e bambini non comunicano più?
In questi 20 anni di esperienza ho visto accadere due cose fondamentali:
gli adulti non riconoscono più i bambini nella loro vera natura, intrisa di spontaneità e onestà, una natura che alza bandiera bianca contro le troppe parole, le troppe richieste e i troppi stimoli
i bambini non riconoscono più adulti che non fanno altro che arrabbiarsi, chiedere cose sempre più orientate al rendimento e sempre meno a contatto con la natura e connesse con il fare
Molti adulti hanno smesso di coltivare la loro immaginazione e nutrire il loro immaginario perchè, a loro volta, sono demotivati e stremati.
Sono adulti che si sono radicalizzati in un’approccio totalmente razionale (perchè ce ne sono altri?), approccio che al contrario i ragazzi non colgono e non sentono come vicino a loro.
Parlo di noi, di tutti noi che ci illudiamo che un sermone o una punizione serva a qualcosa!
Gli insegnanti giustamente vogliono in classe bambini educati, in realtà sperano che non rispondano quando non sono d’accordo ed eseguano semplicemente le istruzioni impartite gli adulti.
Adulti che vogliono l’impossibile
Bambini e ragazzi, tanto più sono svegli e ingamba, tantomeno staranno a queste regole: fuori da scuola sono abituati a non avere limiti, perchè dovrebbero adeguarsi dentro le mura scolastiche?
Allora diventa un problema dei genitori, che non sanno imporsi, che non educano più. E continua a perpetuarsi un’incomprensione tra scuola e famiglia che permane perchè mancano i momenti di confronto e la volontà di disinnescare incomprensioni che diventano poi bombe.
Dare l’esempio con i gesti non con le parole
Ma per crescere in un ambiente sereno, dove ci si sente solidali gli uni con gli altri occorre che gli adulti siano i primi a dare l’esempio con i loro gesti e i loro atteggiamenti, che si mettano in gioco per capire i bisogni dei più giovani e strutturare ambienti, orari e ritmi in modo da facilitare questi bisogni.
Mantenere la parola, lasciare che l’ora di lezione prenda pieghe diverse dal previsto, essere elastici e improvvisare per accogliere i momenti propizi dell’apprendimento.
Per saper improvvisare con successo bisogna essere in connessione con se stessi e con i bisogni di tutti, e non lasciare che le idee su quello che si dovrebbe fare diventino legge.
Cosi facciamo oggi prof !
Bambini piccoli ma anche ragazzi fino alle medie e superiori hanno esigenze importanti di ordine pratico:
hanno bisogno di avere tempo per esprimere le loro ragioni,
di argomentare le loro posizioni e difendere i propri pensieri,
di essere ascoltati e sentirsi capiti.
Gli insegnanti sono spesso arroccati su posizioni impossibili da sostenere e il loro disagio dovrebbe parlare loro forte e chiaro e dirgli che urge un cambiamento.
E’ come quando un genitore si lamenta perchè i figli fanno i capricci, non dormono, ecc… senza mettere mai in discussione se stessi e pensare a portare modifiche nel loro modo di fare.
Ci vuole umiltà, si. E’ vero!
Gli adulti hanno un problema con l’umiltà
Troppo spesso la relazione tra adulti e bambini si basa sulla sfiducia reciprova, sulla presunzione di colpevolezza, sulla tendenza a voler aver ragione senza ascoltare le ragioni altrui.
Gli adulti a volte non danno un buon esempio su come si gestiscono le diatribe o su come si affrontano le incomprensioni perchè non sanno mettersi in una condizione di serenità interiore.
Possibile che nessuno capisce che loro imparano da noi? Da come gestiamo le relazioni?
L’empatia questa sconosciuta
L’empatia è un momento quasi magico in cui passiamo attraverso i muri della nostra separatezza fisica e ci fondiamo l’uno nell’altro come esseri spirituali. Viviamo e sentiamo le emozioni dell’altro e siamo in grado di metterci nei suoi panni.
Immedesimarsi: ne vale la pena
Ma immedesimarsi non è una parola che va di moda in questi anni. Se solo per un momento provassimo ad immedesimarci in un migrante che arriva a bordo di un barcone, con un bambino in braccio, non avremmo più il coraggio di rifiutare nessuno. Ecco perchè questo ci spaventa, ecco perchè questo è l’unico modo che abbiamo di tornare ad essere umani.
Domenica 7 ottobre 2018 in occasione dell’uscita del mio libro offro unLaboratorio per genitori e insegnanti che vogliono riscoprire un sodalizio inedito: il patto scuola-famiglia.
Sappiamo costruire per i nostri bambini e ragazzi un ambiente più pacifico e meno competitivo e creare un fronte comune nell’educazione per renderla davvero inclusiva e solidale? Se ti interessa questo argomento questo è il laboratorio che fa per te.
Laboratorio di genitori e insegnanti
Con me ci sarà l’amico e padre di 4 figli Carlo Ridolfi, ideatore e animatore della Rete di cooperazione educativa. Parleremo prima di tutto dei bisogni dei bambinie degli adulti che gli stanno intorno.
Di cosa abbiamo tutti bisogno?
I bambini hanno bisogno di avere accanto adulti degni di essere imitati, che parlano poco e ascoltano tanto.
Per questo vogliamo trovare le risorse per essere curiosi, pazienti, calmi, centrati, empatici, capaci di ascoltare, dare spazio, includere, mantenere la parola.
In questo Laboratorio faremo due cose distinte:
impareremo attraverso tecniche individuali ad accorgerci di noi stessi non in termini egoriferiti ma di quello che ci fa star bene, perchè questo è l’unico modo in cui possiamo stare bene anche con i bambini accanto a noi. Vogliamo riflettere su come trovare tempo per noi stessi, dare tempo a bambini e ragazzi, tenere in considerazione l’importanza del gioco e degli stimoli più adatti ai bambini nelle varie età. Essere educatori è una formidabile occasione di crescita personale. Scopriremo metodi di autoeducazione dell’adulto e proveremo a sperimentare varie tecniche per farci attori del cambiamento e proporre un ambiente più rilassato e sereno a scuola e in famiglia.
conosceremo il Patto di Corresponsabilità scuola-famiglia, voluto dal MIUR nel 2017, sceglieremo se e perchè sostenerlo ma soprattutto come, attraverso azioni concrete che ci prendiamo la responsabilità come genitori di mettere in atto per costruirie un clima più inclusivo e solidale a scuola e in famiglia.
Dove lo facciamo?
Possibilmente all’aperto nel parco dell’Appia Antica ma in caso di pioggia ci sarà una sala a nostra disposizione. Il laboratorio si terrà dalle ore 10.30 alle 12.30 nello spazio Miraggi Migranti all’interno del festival Fabbrica di RomaReact all’ex Cartiera Latina
Per partecipare vi chiediamo donare un contributo su paypal a questo indirizzo.
Il ricavato andrà a sostegno del movimento di cittadini Comune-Info nonchè bellissimo organo di informazione indipendente che sostengo e di cui mi sento parte.
Se non avete paypal potete donare anche sul momento, basta prenotarsi al mio laboratorio mandando un’email a sabrinadorsi @ yahoo.com
La rete di cooperazione educativa
La Rete di cooperazione educativa è un gruppo di genitori e insegnanti che si interrogano su tematiche educative avendo come riferimenti maestri come Mario Lodi, don Lorenzo Milani, Gianfranco Zavalloni.
Organizzano incontri nazionali di formazione e approfondimento, la possibilità di essere in rete, scambiarsi azioni e buone prassi educative
in uno spirito di cooperazione, antagonista rispetto all’enfasi che oggi viene posta sulla competizione e sul ‘merito’
con un principio di speranza, contro il cinismo e il disincanto che troppe volte sembrano aver la meglio, con la convinzione che altri modi di vivere e di educare siano possibili.
Ad uno dei convegni nazionali della rete ha partecipata anche VIVERE SEMPLICE portando il mio laboratorio Strategie di comunicazione a scuola: lentezza, calma, gioiae spero di contribuire ancora attraverso il laboratorio che offro domenica 11 ottobre, portando i frutti di 15 anni di impegno come genitore.
Approfondisci
Consulta il programma degli eventi su Fabbrica di Roma React che si svolge l’ ex Cartiera Latina in Via Appia Antica 42 Roma.
Visita il sito della Rete di cooperazione educativa e scopri le date e i luoghi dei prossimi eventi a cui sono invitati a partecipare tutti i genitori e gli insegnanti interessati
Essere promossi a giugno al liceo è una grandissima soddisfazione! Oggi il nostro figlio quindicenne ha concluso il primo anno di Liceo Scientifico, dopo gli otto di scuola steineriana. E ce l’ha fatta nonostante tutti i gufi che in questi anni hanno pensato che questa scuola non preparasse, che fare arte, legno e disegno non servisse a niente, che era solo tempo perso.
La scuola steineriana prepara per il liceo
A tutti loro noi diciamo: vi siete sbagliati! La scuola steineriana prepara alla vita e al liceo e lo fa in maniera egregia. Lorenzo Pedro ha fatto un gran numero in meno di ore di scuola, di esercizi di matematica, grammatica e storia… e in quelle ore di fatiche risparmiate intanto si è innamorato della vita e del sapere senza voti e senza libri, ha sperimentato con le mani e con i sensi tutti i materiali, ha scritto un sacco di poesie, di versi, di rime, ha usato il pensiero laterale, imparato a farsi domande e a risolvere problemi.
E’ diventato un lettore forte, uno che non ha paura dei voti e che studia per sapere.
E ora è pronto per il liceo come tutti gli altri, è maturo per studiare, ha voglia di farlo, non gli pesa impegnarsi, non ha paura di essere rimasto indietro perchè sa tirarsi su le mani e ha colto la sfida. Vincendola! E il liceo che ha fatto è anche considerato uno di quelli difficili, storicamente dicono di destra, il Kennedy.
Il Kennedy liceo all’altezza delle aspettative
A me sembra un liceo stupendo, dove gli insegnanti sono umani, ci tengono a non lasciarti indietro e ti tengono il fiato sul collo quanto basta per farti rigare dritto…
Stamattina si è alzato presto ed è andato davanti a scuola a vedere “i quadri” che uscivano alle 10 ma li non c’era nessuno. Erano tutti a casa a controllare i voti sul registro elettronico dai loro cellulari… Lui è tornato con una grande soddisfazione nel cuore e si è chiesto perchè non erano tutti li a festeggiare…
Ma sono tante le cose che ci siamo chiesti in questo bellissimo anno di scuola in cui lui ha tirato fuori tutta quella volontà che ha esercitato alla scuola steineriana.
Ecco alcune delle sue riflessioni ad alta voce che ho memorizzato:
in classe ognuno pensa per sè, perchè i ragazzi non si aiutano tra di loro nei compiti?
non capisco perchè alcune ragazze piangono dopo un voto mediocre, sembra quasi che studino solo per quello!
si, questa parte di matematica non l’ho fatta alla Steiner, ma ora me la studio, non c’è problema.
che figo in questa scuola non danno compiti (a settembre quando non aveva ancora scoperto che esisteva il registro elettronico e che doveva scaricarsi la app sul telefono per guardarli!)
Si è vero, un po’ marziano è, un po’ marziani siamo tutti noi che veniamo dalla scuola steineriana. Ma se prima pensavo solo che essere diversi fosse faticoso ora so che le soddisfazioni sono direttamente proporzionali alla fatica.
E la prof. di geostoria che lo ha rimandato nel primo quadrimestre e gli ha dato 7 nel secondo ci ha detto: “questo ragazzo è eccezionale, potrebbe anche non aprir libro perchè ascolta le lezioni come se fossero l’unica possibilità che ha di imparare, ma dove ha studiato… all’estero?”
Se state leggendo questo articolo è perchè ho usato un piccolo stratagemma retorico, non arrabbiatevi. Volete sapere l’unico motivo per cui ha senso mandare i figli in una scuola steineriana? Ebbene, sappiate che i motivi sono tanti e questo blog è il posto giusto per scoprirli.
Se siamo nelle condizioni in cui siamo dobbiamo quindi guardare meglio a ciò che non funziona proprio li: nelle scuole e nelle famiglie. C’è indifferenza e scaricabarile. Prendersi delle responsabilità sembra la cosa più difficile del mondo. Soprattutto per noi adulti.
Imparare a stare con gli altri
Per imparare il rispetto dell’altro a scuola è necessario che gli insegnanti siano persone che tengono in conto l’essere umanonon solo per sue competenze e che si prendano cura della sua socialità. Maestri che dedichino tempo alla condivisione delle emozioni e della comune umanità sempre più data per scontato e bambini che abbiano tempo per relazionarsi tra di loro.
L’attenzione solo ai programmi e ai compiti in classe non creano un mondo migliore.
Perchè imparare a stare con gli altri, con tutti gli altri, è un elemento fondativo della società e dell’essere umano. Alla scuola steineriana i bambini saranno stati poco scolarizzati ma di sicuro imparano il rispetto degli altri, la cura, l’attenzione per i più deboli e il valore della diversità. Almeno questa è la nostra esperienza!
Potete anche obiettare che nella scuola steineriana i bambini gravemente disabili sono pochissimi e questo è vero (mi piacerebbe raccontarvi cosa fanno con i cosiddetti ADHD). Ma non basta avere un compagno disabile per imparare ad accettarlo, soprattutto se i docenti non sanno come relazionarsi e finiscono per essere i primi a metterlo involontariamente da parte perchè non dia fastidio.
Raccontare il valore della diversità
Per imparare il valore della diversità bisogna essere dei diversi forse e quelli della scuola steineriana lo sono. Per loro sono importanti prima di tutto l’empatia, le capacità relazionali dei bambini, la loro possibilità di diventare esseri umani virtuosi, rispettosi, degni di essere imitati. Solo dopo vengono le abilità cognitive, la performance, i bei voti. Per questo vengono presi in giro e vessati da tanti supponenti esperti che hanno certo altre priorità in mente.
Forse è per questo che in generale mi sento di dire che i bambini che provengono dalla scuola steineriana hanno rispetto e cura degli altri, proprio perchè sanno quando è difficile pensarla diversamente dalla massa e quanto si viene per questo costantemente attaccati.
Più attività per imparare a stare insieme
In queste pagine e anche nel mio libro trovate la narrazione di tante attività che si fanno nella scuola steineriana: giocare, lavorare a maglia, fare arte che lavora sulla sfera emotiva (e che allena la nostra capacità di commuoverci), fare geometria usando il corpo, saltare la corda per imparare le tabelline. Ebbene, tutto ciò forse può sembrarvi fuori tema in questo articolo. Ma se andate un po’ sotto la superficie troverete nessi interessanti.
Ps: Ovviamente non è solo la scuola steineriana ad occuparsi dell’essere del bambino in tutta la sua integrità. Vi parlerò presto di un’altra scuola meravigliosa che ho conosciuto ma è una sorpresa per soli torinesi.
Vivere semplice, il libro
Il libro si può ordinare i qualsiasi libreria o acquistare sul sito della casa editrice con Paypal o su tutte le piattaforme online come Amazon (con lo sconto del 15%), Feltrinelli e il Giardino dei Libri.
Se hai bisogno di assistenza contatta la casa editrice via email naturaecultura@tiscali.it per ricevere info su altre modalità di pagamento.
Ho l’ambizione di dire che questo libro è per tutti i genitori e insegnanti, quelli che hanno figli ed alunni normodotati e quelli che ne hanno speciali. Anche per loro serve inclusione, ma per chi non serve?
E visto che il libro parla di sfide qui sono benvenuti tutti i coraggiosi.
Ho trovato in libreria Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l’educazione di Edgar Morin Raffaello Cortina ed. ed il titolo mi ha solleticato una bella curiosità: vorrei raccontarvelo.
Condivido pienamento le premesse con le quali inizia questo libro, che ho letto con piacere pur continuando a chiedermi perchè la passione per l’educazione è sempre cosi forte in me e cosa mi spinga a sentirmi un’educatrice anche se non ho titoli. Sono soltanto una mamma!
Ebbene il libro debutta cosi: l’aspirazione al ben vivere richiede l’insegnamento di un saper-vivere nella nostra civiltà e ciò diviene sempre più necessario “nel degrado della qualità della vita sotto il regno del calcolo e delle quantità… nell’accelezione generale, dal fast food fino alla vita sempre più cronometrata”.
Si lo sappiamo bene, ormai conta più quanto sanno i nostri che non cosa sanno. E’ una questione numerica: quante lingue studiano, quanti sport fanno, quante capitali europee ricordano a memoria, quante espressioni sanno fare in un’ora. E’ tutta una questione di quantità. Quello che provano, quello che vivono, i dubbi che hanno contano pochissimo.
Ma che cos’è veramente il saper vivere e come si insegna e si impara a scuola?
Questo libro pretende di essere fonte di ispirazione per gli insegnanti di ogni grado, in realtà altro non fa che iper-intellettualizzare chi dovrebbe coltivare relazioni autentiche con gli studenti per permettere loro di esperire la conoscenza, appassionarsi ad essa, godere del sapere e dell’apprendere senza doppi fini quali la valutazione o ancor peggio la mera ostentazione. Morin filosofeggia di insegnamenti al di là delle singole discipline, senza peraltro fare esempi concreti su come si potrebbe insegnare storia, geografia e chimica in modo non disgiunto o portando esempi che sarebbero validi per l’insegnamento universitario e affermando che tali metodi sono applicabili anche nella scuola primaria.
Morin non ha capito che il bambino ha bisogno di imparare semplicemente dal racconto appassionato e declinato in modo evocativo dall’insegnante che si muove a braccio, senza libri, senza traccia e che sa usare la sua sapienza di adulto che collega fatti ed eventi attraverso l’intuito e la sua capacità critica, non quella che dovrebbero già possedere i bambini.(ha senso tenere in alta considerazione la professione di insegnante se è davvero tale e non se si limita a seguire pedissequamente le due o tre paginette di sussidiario, quello saprebbe farlo chiunque).
Genitori ed educatori spesso non sanno che…
Il bambino si nutre di immagini e quelle ricorda, che sia la storia vissuta attraverso le biografie dei grandi personaggi come geografia insegnata con le foto di viagio dell’insegnante stesso (questa era la fortuna che ho avuto io alle medie). Sono le cose semplici e vere, portate con il giusto ritmo ripetitivo e cadenzato che rimangono impresse nello studente.
E questo succede solo se c’è il tempo di farlo succedere o i tempi diversi di ogni alunno. Il bambino interrogato sarà in soggezione ma il solo ricordare lo aiuterà a sedimentare la nozione appresa, l’immagine impressa.
Questo Morin non lo sa. Lui pensa che l’insegnante debba insegnare a “sapersi distanziare, sapersi oggettivare, sapersi accettare, sapere meditare, riflettere (cit. pag 27)
Io dal basso della mia ignoranza dico che non sono daccordo: queste cose non si insegnano, si praticano e basta e forse vengono assorbite come metodo con la forza dell’imitazione ma non possono essere materia di insegnamento.
Quando poi cavalca il tema dell’incertezza chiamandola ecologia dell’azione allora prego che gli insegnanti che in questi giorni estivi sono in vacanza si prendano una pausa dagli intellettualismi di Morin, rigenerino le loro energie con lunghi bagni al largo o passeggiate meditative e solitarie in alte vette invece di leggere questo libro e si preparino ad affrontare un nuovo anno scolastico con freschezza, ritrovando un ritmo sano e proprio del bambino, guaritore di ogni aspettativa.
Mi è capitato per caso tra le mani “Magellano“, riduzione per ragazzi del romanzo di Stefan Zweig. Mentre lo leggevo ho provato immensa gratitudine per la maestra che ha dato questo libro da leggere a mio figlio.
Mi sembrava che fosse proprio il modo giusto di raccontare una storia: mettere in evidenza più che le date di un’impresa storica lo sforzo, la motivazione, i patimenti di uomini che hanno lottato per i loro ideali.
Da sempre le storie sono servite per aiutare gli uomini a comprendere la vita e addestrarsi per affontarla, preparandosi al dolore, alla fatica e alla morte e intuendo che di fronte alle grandi prove non sarebbero rimasti inermi ma avrebbero trovato un punto da cui poter ripartire.
L’autore di questo libro è infatti un insegnante, una persona che ha capito davvero a cosa serve raccontare le storie ai bambini e ha dedicato un libro a questo argomento: “Il libro fondativo per incontrare l’umano, esperienze di letture ad alta voce in classe”. La teoria espressa in questo libro è ben riassunta in una lezione di Paolo Molinari, l’autore.
Storie necessarie
L’idea è che esistano delle storie fondamentali che il bambino deve conoscere, perchè lo aiutano a costruire la sua umanità, scoprire che anche gli altri hanno bisogno di amare e di essere amati proprio come noi stessi, desiderano l’infinito e hanno paura di non raggiungerlo mai proprio come noi.
Parliamo di titoli come: I fratelli cuordileone, Emil, Pinocchio, e di tanti altri che poi ho scoperto che se ne parla a lungo anche in un evento che si chiama Libroaperto organizzato da DIEFFE didattica e innovazione scolastica, centro di formazione e aggiornamento.
Nella vita di tutti i giorni non abbiamo modo di sperimentare questa grandezza anzi spesso le possibilità incredibili che abbiamo a disposizione ci fanno soffocare nella lamentela e nella noia. In realtà abbiamo bisogno di nutrirci di qualcosa che ci aiuta ad affrontare la ricerca d’identità, che ci aiuta a raccontarci, a dirci.
Un aspetto che è andato perso nella nostra epoca e che quindi è fondamentale da recuperare attraverso il racconto è che siamo fatti di anima e corpo, dove con anima non si intende l’aspetto religioso ma la percezione che l’uomo ha sempre avuto che non siamo riducibili solo alla dimensione corporea: in noi c’e’ una natura che e’ esigenza di giustizia, di bellezza, di verità e di amore.
La dimensione eterna della vita
La vita senza la prospettiva dell’eternità è incompresibile. E questa dimensione diventa fede solo se vuole essere una risposta alle nostre domande. Ma non è obbligatorio che sia cosi, il solo porsi la domanda e lasciare aperta la risposta da un respiro diverso alla vita, la carica di mistero, di valore, di potenziale ricerca e scoperta dell’inconoscibile.
Raccontare le storie ai bambini significa dargli la possibilità di costruirsi una propria umanità, sperimentando per interposta persona (attraverso Polifemo, Gilgamesh, Omero) tutte le avventure dell’anima: la paura, la vergogna, la collera.
Sentire che nei grandi protagonisti delle storie risuonano le stesse emozioni che si trovano infondo all’animo di tutti è fondativo, aiuta l’anima ad allenarsi invece che atrofizzarsi per mancanza di esperienza e comprensione.
Nei protagonisti delle storie c’è lo stesso desiderio di giustizia e di bellezza che ha il bambino che ascolta. Per questo le storie sono molto più potenti di ogni spiegazione razionale.
Siamo creature prima essere creatori
Se al bambino, in una dimensione laica e razionale del sapere, non viene mai offerto il concetto che siamo creature, non siamo padroni, sviluppa un’arroganza in cui lui è la misura di tutto e diventa cosi egoista da non vedere più l’altro, quell’arroganza che i greci chiamavano hybris ovvero l’uomo onnipotente, senza limiti.
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